E'' una cosa sorprendente volare, un magnifico sogno ad occhi aperti […] Montai su un Henriot a due posti: io avanti; il pilota dietro. Appena il motore si mosse, l''apparecchio partì per l''aria come una freccia: nel lasciare la terra non ho provato nessuna impressione, tanto l''apparecchio dava segni di stabilità. Eravamo a 30-40 metri e si andava a 70-80 chilometri all''ora e mi pareva quasi che l''apparecchio fosse fermo: e questa, infatti, è l''impressione che si prova alle grandi altezze ed anche quando si marcia, a più di 100 all''ora dicono i piloti […] Era un magnifico sogno, ad occhi aperti, vedermi scorrere di sotto gli alberi, la strada la campagna; è una cosa piacevolissima guardar giù e mi sono assicurato di non soffrire affatto di capogiri. Il pilota mi aveva raccomandato di non muovermi molto ed io, guardando, gli gridavo: Plus haut ! Plus haut! Infatti andammo presto a 100 metri e, quando di nuovo fummo ritornati sull''aerodromo, con un bellissimo volo plané, l''apparecchio ci posò dolcemente a terra.
Lettera ai familiari
Francesco Baracca, 5 maggio 1912
È questo che gli pesa, il dovere strisciare, schernendosi con quegli sconosciuti che lo riconoscono senza neppure che lui li possa vedere. Gli pesa essere omologato a un pezzo di artiglieria, a una squadra di arditi, a un assaltatore, mentre lui è ben altro, per dio! La guerra che ha combattuto si è svolta in cielo, tra una nuvola e un’altra, dove gli scoppi delle granate si vedono partire e arrivare, dove l’acidulo sentore della cordite non arriva mai, compensato dal freddo che ghiaccia mani e viso, là dove la morte non appare mai di faccia, ma arriva subdola dalle spalle o nella direzione del sole. La grandiosità degli scenari nasconde la grottesca mortalità degli aviatori, la gravità, loro grande nemica. Una guerra di cavalieri impavidi che bruciano di passione quando si alzano in volo e che letteralmente bruceranno quando la loro lancia in resta non colpirà, lasciando che sia l’avversaria ad abbatterli.